di Alessandra Pierini
Cosa potresti fare se per un giorno non avessi lo smartphone? Cosa cambierebbe per te? Hanno fatto una piccola esperienza “disintossicante” da strumenti digitali gli studenti della scuola secondaria di primo grado Mestica di Macerata dove il Consiglio di istituto ha deciso di vietare l’utilizzo dei cellulari in gita.
Secondo i risultati dello studio Eyes Up (EarlY Exposure to Screens and Unequal Performance), la ricerca scientifica pionieristica condotta dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca in collaborazione con l’Università degli Studi di Brescia, l’Associazione Sloworking, il Centro Studi Socialis, con il finanziamento della Fondazione Cariplo, l’utilizzo di smartphone e social in età precoce ha effetti negativi sul rendimento scolastico ma alla scuola Mestica di Macerata la preoccupazione degli insegnanti è soprattutto per le relazioni. «Abbiamo voluto proporre la gita di una volta – spiega la coordinatrice Paola Petrocchi – in cui in pullman si canta e si chiacchiera e nei momenti di convivialità si sta veramente insieme. Dallo scorso anno abbiamo inserito nel regolamento di istituto il divieto di utilizzo dello smartphone nelle gite di più giorni, con una deroga per un’ora la sera. Il primo giorno i telefonini vanno nel portabagagli, all’arrivo in albergo li mettiamo in cassaforte per riprenderli solo dopo cena».

Lo stesso provvedimento vale per le gite di un giorno delle prime e seconde: «In questo caso il cellulare non si porta per niente e si privilegia lo stare insieme coi coetanei».
E quali sono stati gli effetti? «Nei viaggi di più giorni – afferma Petrocchi – abbiamo notato che la prima sera ragazzi e ragazze prendono il telefonino come se fossero in crisi d’astinenza e subito controllano messaggi e chiamate, già la seconda sera hanno fatto un controllo rapido per poi abbandonarlo per stare con compagni e compagne. Sono stati proprio gli studenti a farci notare un giorno a pranzo, la differenza tra loro che stavano insieme in allegria e un tavolo di una classe di un’altra scuola che aveva il permesso di usare gli smartphone e in cui nessuno ha staccato gli occhi dallo schermo per tutto il pasto. I nostri alunni e alunne ci hanno ringraziato e se la sono goduta proprio nello stare insieme».
Significativo un episodio accaduto lo scorso anno durante una visita a Firenze: «La visita guidata ad una abbazia prevedeva l’utilizzo dello smartphone con lettura di qrcode. Quando abbiamo fatto presente che nessuno aveva il telefonino, l’abate piacevolmente sorpreso si è offerto di guidarci personalmente nell’abbazia. I ragazzi e le ragazze lo hanno seguito con entusiasmo e con gli occhi rivolti in alto anziché allo schermo».
Una scelta coraggiosa quella della Mestica che, all’inizio, non è stata così facile e immediata: «La paura più grande era di alcuni genitori – spiega Petrocchi – ma una volta superata la loro resistenza, il cammino è stato più semplice. Anche a scuola seguiamo la stessa strada. Gli studenti consegnano lo smartphone alle 8 e lo riprendono alle 13. Lo devono proprio consegnare per non essere tentati di prenderlo e consultarlo La cosa più bella è che per loro è diventata una routine, non pesa più a nessuno. Anzi, capita che noi insegnanti ci dimentichiamo e loro ci ricordano di dover lasciare il telefono».
Un’ottima pratica, soprattutto se si considerano i risultati dello studio dell’Università Milano Bicocca ha messo in evidenza anche la pervasività dello smartphone nella quotidianità degli studenti. «Oltre il 50% dei ragazzi – si legge nel report – utilizza spesso o sempre lo smartphone appena sveglio e il 22% lo consulta con la stessa frequenza anche durante la notte, interrompendo il riposo. Inoltre, il 51% ammette di usarlo durante i pasti in famiglia, sebbene solo il 10% lo faccia in modo sistematico, segno dell’esistenza di regole familiari che limitano l’uso del dispositivo in certi contesti».
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La conferma relativa ad un uso spesso improprio dello smartphone arriva anche dalla professoressa Petrocchi: «Quando lo smartphone non era vietato in gita, è capitato che venissero diffusi anche contenuti personali perché spesso ragazzi e ragazze non sono consapevoli delle conseguenze che questo comportamento può avere».
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