Una visita tra antichità e contemporaneità quella fatta dalle classi terze della scuola media Dante Alighieri di Macerata che hanno preso parte mercoledì ad una uscita didattica alla centrale idroelettrica di Valcimarra, nel comune di Caldarola e poi nell’are archeologica di Pievefavera.
Ecco il loro racconto della giornata:
Gli alunni e le alunne accompagnati dai docenti di scienze e tecnologia hanno visitato la centrale idroelettrica “Carlo Fascetti” che è la più grande delle Marche per capacità installata ed il cui schema idroelettrico è gestito da Enel Green Power. Carlo Fascetti è l’ingegnere che l’ha progettata. L’iniziativa è stata occasione per i nostri ragazzi e ragazze di conoscere un luogo di eccezionale interesse ambientale e paesaggistico.
«Umberto, Leonardo e Mirko, del reparto tecnico di Valcimarra, hanno esposto -così riferisce Francesco – il funzionamento di questa centrale, che fa parte dell’asta idroelettrica del fiume Chienti ed è entrata in servizio nel 1952, con due derivazioni che prendono l’acqua dalla diga di Fiastra (ramo Fiastrone). L’impianto è stato ulteriormente ampliato nel 1967, con l’aggiunta di un terzo gruppo che prende l’acqua dalla diga di Polverina sul fiume Chienti».
I tre gruppi idroelettrici forniscono circa la stessa potenza: i gruppi 1 e 2 erogano 14 MW e il gruppo 3 arriva a 14,5 MW.
I due laghi portano l’acqua verso la centrale attraverso due gallerie distinte e separate: una, interrata, proviene dal lago di Fiastra che si trova nella valle adiacente, l’altra, nascosta in mezzo alla folta vegetazione, segue il dislivello della montagna.
Le due linee del Fiastrone sono gemelle quindi sfruttano un salto più alto e hanno una portata più bassa (330 m di salto e 5 m3/s); il ramo del Chienti, invece, ha un salto più basso di circa 100 m e una portata molto più grande (18 m3 smaltiti ogni secondo).
L’acqua parte dai laghi e, attraverso le condotte, scende in caduta fino a raggiungere il piano interrato della centrale idroelettrica in cui si trovano le turbine Francis. L’energia meccanica creata dalla rotazione delle turbine viene sfruttata per generare energia elettrica. I trasformatori della stazione innalzano la tensione per convogliarla presso le linee di distribuzione: una linea a Camerino, una verso la stazione dei Cappuccini a Foligno e le ultime due verso la stazione di Abbadia di Fiastra, passando attraverso una.
«Questa centrale -aggiunge Lucia – fornisce un servizio di energia pregiata: è infatti un serbatoio che lavora sulle punte di domanda; l’energia prodotta entra in rete tutti i giorni lavorativi nelle ore di maggiore richiesta, dettate in misura prevalente dalle esigenze dell’industria».
Gli studenti, poi, hanno potuto godere anche della bellezza paesaggistica e dell’aria tonificante che si respira nei pressi del lago di Caccamo. Qui si trova anche l’area archeologica di Pievefavera: l’antico insediamento di Faveria si collocava nella via di comunicazione che da Roma (tramite la Flaminia) conduceva verso la costa Adriatica.
Il sindaco stesso, Giuseppe Fabbroni, e una guida locale hanno fatto da ciceroni ai ragazzi e ragazze, nei luoghi della villa di età romana.
L’impianto abitativo si sviluppava su tre terrazze digradanti verso il fondovalle. Le Villae romane erano edifici generalmente collocati fuori dalle mura cittadine, con una Pars Rustica destinata agli schiavi che lavoravano la terra ed una Pars urbana che ospitava i padroni. All’interno della villa, come in una piccola azienda agricola, si produceva tutto ciò che era necessario al sostentamento. Solo in seguito questi edifici furono sfruttati dagli uomini politici che risiedevano all’interno della città per evadere dalla vita quotidiana. Nonostante l’esiguità dei resti del sito archeologico, che la Soprintendenza per i beni archeologici della regione Marche e l’amministrazione comunale di Caldarola sono riusciti a recuperare e valorizzare, si può capire benissimo la bellezza e l’importanza del patrimonio storico di questo territorio. Nel primo terrazzo della villa troviamo le stanze di servizio destinate alla produzione interna; nel secondo terrazzo, considerato come un corridoio di disimpegno, si può addirittura distinguere un sistema di fognature. Nel terzo e ultimo terrazzo riportato alla luce sono stati individuati sei ambienti di forme e dimensioni diverse, con addirittura dei pavimenti a mattoncini disposti a spina di pesce. Alcuni di questi ambienti avevano la funzione di terme riservate ai contadini della villa. Piccoli pilastri mantenevano sospeso da terra il pavimento di queste terme, al di sotto del quale circolava dell’aria calda: proprio una bella invenzione, che noi oggi ci vantiamo di chiamare riscaldamento a pavimento.
A fianco del sito archeologico, nel 2008, è stata inaugurata la nuova sede dell’Antiquarium, un piccolo museo nel quale sono esposti dei reperti davvero particolari provenienti dalla villa romana o addirittura ancora più antichi. Nella prima teca sono presenti delle ceramiche con vernice nera; alcune ciotole o vasi presentano dei graffiti, dei quali sei frammenti riportano il nome di un medesimo individuo: Rutilioz. Le iscrizioni graffite in lingua latina si caratterizzano per una scrittura che risale alla fine del III secolo a.C. e rappresentano i più antichi documenti di scrittura della regione Marche. Il reperto più impressionante è una tomba a cappuccina, costruita con tegoloni e una stele funeraria.
E’ stata un’esperienza davvero bella, concludono i ragazzi e le ragazze, che ci ha permesso di scoprire il nostro territorio, ricco di storia ed energia, monumento di bellezza e potenza infinita. Con nostro infinito piacere abbiamo scoperto la meraviglia dietro l’angolo.