di Carlo Torregrossa
«I ragazzi e le ragazze ci propongono una sfida intellettuale, io voglio alunni che sfidano» così la docente e scrittrice Lucia Tancredi parla ai ragazzi e alle ragazze e commenta la scelta di alcuni studenti e di alcune studentesse che hanno deciso di non sostenere gli orali di maturità.
I casi sono stati solamente cinque in tutta Italia, ma hanno suscitato un grande clamore mediatico, tanto che è intervenuto anche il Ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara che ha dichiarato che «se un ragazzo non si presenta all’orale o volontariamente decide di non rispondere alle domande dei suoi docenti dovrà ripetere l’anno»
I casi di cui stiamo parlando sono avvenuti in Veneto, Toscana e uno anche nelle marche, più precisamente a Pesaro. Riguardano alcune studentesse e alcuni studenti che, avendo ottenuto la sufficienza già agli scritti hanno deciso di non sostenere l’esame orale, protestando contro un sistema, si legge nei loro commenti, che li opprime.
Abbiamo chiesto delle riflessioni a chi di studenti e studentesse si occupa tutti i giorni. «Questi ragazzi e ragazze hanno evidenziato come in questi anni la scuola sia stata disumanizzante – afferma Lucia Tancredi – Un sistema che non li ha saputi accogliere e comprendere. Una scuola per certi versi anche alienante. Queste ragazze e ragazzi ci chiedono una relazione, ma quando ce la chiedono la risposta che noi diamo è la repressione. La risposta del Ministro Valditara è reprimere anziché dialogare. Invece del dialogo dall’altra parte si crea la norma».

Il malessere dei nostri studenti e delle nostre studentesse è anche dato dalle continue aspettative che noi riversiamo su di loro: «Spesso gli adulti fanno molte pressioni nei confronti dei loro figli affinché abbiano le prestazioni più alte possibili – dichiara ancora Tancredi – Oggi c’è poco ascolto, poca condivisione ma si mira solo a meriti, eccellenze e capolavori.»
La professoressa si sofferma poi sulla qualità dell’esame di Stato: «Quello che è un rito di passaggio, che rappresenta la fine di un percorso di cinque anni, viene affidato completamente a persone esterne. Quando vengono nominati i commissari è un po’ la ruota della fortuna. Bisogna andare a vedere chi sono e ci si prepara già a capire se saranno clementi, comprensivi o severi, nei confronti dei miei studenti e delle mie studentesse, ma anche nei miei confronti, in quanto viene giudicato il programma di noi insegnanti. Io quest’anno non ho portato i miei studenti all’esame di maturità, ma ho ascoltato il racconto dei miei colleghi e il loro avvilimento ad avere estranei che parlavano di ragazzi e ragazze che non conoscevano. cercando di comprendere quello che erano attraverso una performance, ma la performance non esiste, il percorso scolastico ha bisogno di tempo e attenzione».
Molti si sono espressi in merito alla scelta fatta da queste studentesse e da questi studenti, come ad esempio Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione presidi, che ai microfoni di AdnKronos ha definito la scelta di queste ragazze e di questi ragazzi come «esibizionismo».
«I ragazzi hanno protestato in maniera intelligente e sono stati nelle regole – sostiene Tancredi – Rimettendoci tra l’altro in prima persona, uscendo dalla maturità con dei voti minimi. La risposta che hanno avuto è stato un linguaggio autoritario e intimidatorio. Io insegno ai miei studenti e alle mie studentesse a diffidare dall’autoritarismo. Io chiedo che i ragazzi e le ragazze siano ascoltati e che la dialettica sia democratica. Non posso insegnare Pasolini e pretendere che i miei alunni e alunne siano ligi al sistema, anche Leopardi era un dissidente».

Fa eco alla docente anche Angela Verdecchia, coordinatrice regionale della rete degli studenti medi Marche: «Definire furbata, la scelta presa da queste studentesse e da questi studenti, evidenzia come non si sia colto il punto di quello che questi giovani volevano dirci. Anche perché non mi sembra che sia stata un’occasione di visibilità che molti ricercassero».
Il riferimento è anche a Mariasole Tommasini, la studentessa di Pesaro, che abbiamo cercato di contattare ma che purtroppo ha declinato il nostro invito: «All’inizio era ben disposta a raccontare la sua esperienza – spiega Verdecchia – ora non è più così disponibile a causa dell’ondata di odio nei suoi confronti che l’ha fatta chiudere a riccio.»
Così come Lucia Tancredi, anche Verdecchia ritiene che il sistema di valutazione della scuola italiana vada modificato: «Studenti e studentesse non possono essere racchiusi all’interno di valutazioni numeriche, che non tengono conto del percorso umano che un adolescente in cinque anni compie. Percorso che porta anche a dei cambiamenti importanti, che sono complessi e a volte essere dolorosi».
Verdecchia sottolinea come la decisione del Ministro dell’Istruzione rappresenti una «repressione del dissenso. Vuole mettere a tacere le voci discordanti, piuttosto che ascoltare il disagio che le studentesse e gli studenti stanno manifestando. Si potrebbe provare ad ascoltare le loro istanze, cercando di capire se sia possibile o meno modificare il sistema valutativo italiano sulla base delle esigenze di chi questo sistema lo vive quotidianamente sulla sua pelle.» Situazione vissuta dagli alunni e dalle alunne ma anche dai docenti.

Una situazione che ha permesso ad alcuni studenti e ad alcune studentesse di esprimere il proprio malessere: «Questo fenomeno non può essere liquidato solamente come inutile protesta o come tentativo di fare spettacolo – spiega Paola Nicolini, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Macerata – I ragazzi e le ragazze hanno scelto di sedersi al tavolo dell’orale, davanti alla commissione e hanno argomentato le loro motivazioni. Esplicitando di non volersi sottomettere ad un sistema che a loro avviso è ingiusto, incoerente e non condivisibile.»
Esprimendo anche un pensiero critico che «rappresenta un elemento di positività e una protesta che rimane un atto di ribellione, assolutamente non violento» sostiene Nicolini, che poi si sofferma sulla comprensione. La risposta che molti adulti hanno avuto nei confronti di questi ragazzi e ragazze è stata molto spesso di rabbia e disapprovazione, basta anche solo guardare i commenti sui social. «Queste nuove generazioni -conclude Paola Nicolini- fanno fatica ad essere comprese dalle generazioni più adulte, che spesso non ne condividono le cornici di riferimento. Questo crea da parte di queste generazioni la sensazione di non essere capiti. Abbiamo bisogno di de-categorizzarci andando incontro alle loro esigenze e non pretendere che loro vengano incontro a noi».